(articolo del giornalista e scrittore Uberto Tommasi, pubblicato sul mensile "Un mese a Verona", numero 12 anno 3, dicembre 1999)

 
 

 

Più di un commentatore ha già fatto notare la centralità della componente ironica nell'arte di Innocente. Arte che la maggioranza delle opere dell'artista mostrano aperta ad avvenimenti pubblici dai quali si sente direttamente toccato, benché oltrepassino la sua vita personale. Una sorta di esercizio di igiene mentale, mosso non tanto dal desiderio dì denigrare, quanto dall'esigenza di analizzare, vagliare spietatamente, distanziare ciò a cui è attribuita una notevole importanza. In parole povere evitare di prendere lucciole per lanterne. Non lasciare che ciò che interessa ti imbrogli. Sapere che l'arte, non è né la religione che alcuni vorrebbero, nè una specie di artigianato, ma deve essere praticata come un gioco, in grande stile s'intende, che può portare molto lontano. Così inizierei una critica sulle opere del pittore veronese Innocente, ma visto che, per spiegare la sua produzione, critici come Bonito Oliva ed altri mostri sacri, hanno dovuto inventare dei termini nuovi come super oggettività del soggeto, neo-oggettistica, new-nunc, ecc. , lasciandomi degli spazi veramente ridotti,ho scelto di scrivere di un periodo inedito, di cui sono stato spettatore e protagonista, della vita dell'ormai leggendario artista scaligero.

Innocente copre Via Oberdan di lenzuola, che vengono decorate dalle gomme delle macchine e dai passanti, armati di pennello.

 

La prima volta che ho visto delle opere di Innocente è stato nel 1970. La galleria Linea 70, di Avola, presentava una collettiva a cui partecipavano quattro giovani autori, uno era Innocente. Avola, il gallerista, aveva scelto una politica di vendita molto seria, basata soprattutto sulla proposta di grafica di qualità a prezzi contenuti, ad una clientela colta e sobria, fatto che mal si conciliava con l'esplosione di colori, la grandezza delle tele ed i prezzi, già allora elevati, delle opere di Innocente. Per cui non venne venduto nemmeno un pezzo. Io a quel tempo dirigevo la Galleria La Meridiana, ed ero in cerca di artisti nuovi. Rimasi talmente colpito dalla forza e dalla freschezza delle opere di  Innocente che gli proposi di presentare da me la sua prima personale. L'esposizione ebbe successo. Venne venduto tutto. Il principale acquirente fu il Cav. Domenico Fraccaroli, un mecenate illuminato che stava cercando di creare un museo privato di arte contemporanea (oggi realizzato). Ma soprattutto grazie a Innocente la galleria venne invasa da un pubblico internazionale e culturalmente vivace.
Il periodo era propizio, infatti in una Verona che riposava sugli allori dei vari pittori defunti come Semeghini e Dall'Oca Bianca, cominciava a formarsi una generazione aggressiva e preparata di cui facevano parte, oltre ad Innocente, altri numerosi operatori artistici, da settori che andavano dal design, al fumetto, alla poesia visiva. Naturalmente la battaglia era persa dall'inizio. Verona in breve ci fece capire di amare solo gli artisti morti, e possibilmente da un pezzo. Ma per un po' fu divertente avere in gallerìa Bruno Munari, Dalì, Arman, Arnal, Adzac, Cesar, Hainz, Baj, ed il critico Pierre Restany, proprio come in una galleria parigina o newyorkese.

 

"Autodeclassamento" di Innocente, che nel 1971 si fa ritrarre in un bidone di immondizia.

 

Per quanto l'effetto più visibile fu quello prodotto dai soldi che incassavamo dalla vendita delle opere esposte, che permisero a Innocente, con me complice, di sbizzarrirsi in una serie di creazioni artistiche talmente d'avanguardia da annullare ogni speranza di portare avanti un qualsiasi programma commerciale. Veronesi e mantovani furono le cavie degli esperimenti creativi del futuro Innocente. La città scaligera infatti fece da collaudo al tentativo di Innocente, tradotto in iscritto da Marzio Breda, di "...moralizzare l'arte, dandole la funzione di suscitare una consapevolezza contemporanea, perché ogni uomo, considerandola, possa scorgere tutta la desolazione e l'insignificanza dell'esistenza". Cioè Innocente bloccò le strade della vecchia, riservata e sospettosa Verona con tele lunghe cinquanta metri, invitando i passanti a dipingerle. La manifestazione ebbe l'onore delle cronache e vi fu persino chi comperò la tela. L'esperimento ebbe fine a Mantova dove, a differenza della pia Verona, la folla si scatenò veramente e quattromila persone bloccarono tutto il centro dipingendo, in un'orgia di colori, le tele ma anche le macchine e i passanti. Furono fermati dalla polizia alcuni neoartisti, incluso l'improvvisato mercante che aveva finanziato l'operazione, mentre tentava di difendere le preziose lenzuola dai funzionari di polizia.

Quindi in pochi anni Innocente scalò velocemente lo scalabile del periodo, tanto che il suo nome, e la raffigurazione della sua mela di neon, venne inserito nel manifesto "Proposte Luminose" dell'AtelierA di Parigi.
Ma qui, se al suo successo, come già preventivato, la dormiente Verona reagì con indifferenza, la delusione più grossa venne dal mondo intellettuale scaligero. Infatti i pittori e i piccoli critici della cittadina veneta reagirono malamente al debutto del nuovo astro: "...si ritraggono come se avessero toccato al buio la pelle viva di un serpente", commentò, allora, Gianni Guadagnini, direttore del mensile nazionale "II Tratto In Arte": "È un segno positivo", continuò il giornalista, "accade sempre quando dei mediocri incontrano delle persone con un talento superiore". La teoria di Gianni si concretizzò rapidamente, e così bene che dopo ventisette anni, ancora oggi, l'argomento riguardante il pittore veronese rimane tabù, nonostante l'itinerario trionfale percorso da Innocente sia testimoniato oltre che dal volume a lui intitolato, a cura di Bonito Oliva, pubblicato dall'Electa, dai testi come "La Letteratura" e la "Guida All'Arte Contemporanea", destinati ai licei classici e magistrali, e dall'Enciclopedia Dell'Arte edita da Mondadori. Alcuni degli artisti che frequentavano la galleria La Meridiana negli anni d'oro, si sono poi dedicati all'insegnamento, rinunciando, in cambio della sicurezza, ad essere pittori professionisti, altri si sono creati una nicchia politica che ha permesso loro di appaltare qualche intervento artistico nell'ambito veronese, altri ancora hanno completamente abbandonato il settore. Eppure nelle manifestazioni artistiche veronesi ci sono tutti fuorché Innocente.

Nemo profeta in patria? L'argomento non sembra interessare Innocente che ci ha ricevuto nel suo studio a San Zeno, pieno di composizioni di oggetti dalle funzioni declassate ad arte, e che alla domanda ha risposto, in stile con le sue creazioni, con un lapidario: "Ognuno fa quello che può!".

 

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